domingo, 31 de outubro de 2010

Estetica ed etica nella concezione filosofica di Bachtin

Susan Petrilli

circa la parola letteraria e le scienze umane

Bachtin è un “filosofo”. Lo dichiara apertamente nelle sue conversazioni del 1973 con Viktor Duvakin: “Sono sempre stato e sono un filosofo”. Ma fin dal suo saggio su “Per una filosofia dell’azione responsabile” (del 1920–24), egli sceglie la letteratura, la scrittura letteraria, come l’angolatura prospettica della sua riflessione filosofica.
Ciò ha dato luogo ad equivoci interpretativi circa il “mestiere” di Bachtin: quel mestiere che non è una professione, non è un lavoro, non è un’occupazione: “il mestiere di filosofo”. Lo si è scambiato spesso per un critico letterario o per un teorico della letteratura. La riconosciuta ampiezza interdisciplinare della riflessione di Bachtin, anche quando lo si è relegato all’interno della teoria o della critica letteraria, è dovuta al fatto che la sua critica è filosoficamente orientata. Perciò, per quanto limitata ad una data questione, essa è talmente profonda e determinante da toccare numerosi territori circostanti della conoscenza umana e della coscienza stessa, con tutte le conseguenze che un tale approccio può comportare.
Ciò che permette il coinvolgimento interdisciplinare in questo caso non è affatto la pretesa di totalizzazione conseguente ad una sopravvalutazione di un settore disciplinare e quindi alla riduzione ad esso di qualsiasi altro sapere, ma proprio il suo opposto, vale a dire la critica alla chiusura totalizzante, un’analisi, una metodica, orientata nel senso della “detotalizzazione”, anche nei confronti della semplice pretesa di tale chiusura solo relativamente a un settore determinato della conoscenza.
 Il filosofo Mikhail M. Bachtin (1895-1875) a partire dal saggio menzionato degli inizi degli anni Venti, in base ad una scelta filosofica, si colloca all’interno della scrittura letteraria e non se ne allontana mai, perché è questo l’osservatorio da cui egli conduce la sua critica anti-sistemica e detotalizzante, rivelando i fili interni che collegano la letteratura all’extra-letterario e sottolineando quindi l’intertestualità strutturale sottostante al collegamento tra testi letterari ed extra-letterari. Per Bachtin il testo letterario sussiste e si sviluppa nella sua specificità di testo letterario grazie al coinvolgimento, anche in senso etico, con l’universo esterno.
Benché il suo principale campo di indagine sembri costituito dalla teoria della letteratura e dalla critica letteraria, egli procede in modo tale da infrangere i confini interni non soltanto delle discipline che concernono la letteratura, ma anche quelle dell’arte in generale.
Per tutta la sua ricerca Bachtin si preoccupa di dimostrare come un’adeguata comprensione del testo letterario e, in generale, del testo artistico, richieda uno spostamento fuori dalla letteratura e fuori dall’arte – richieda, cioè, un processo di exotopia – orientato secondo prospettive diverse.
Entra in gioco, per esempio, lo studio dei segni verbali e non verbali, sia a livello teorico – quello della semiotica generale – sia a livello della sua specificazione riguardo alle diverse forme culturali, alle tradizioni popolari, feste, riti, miti, culti; oppure lo studio delle ideologie, della relazione psicologica e psicoanalitica fra la coscienza e l’inconscio, il problema della stratificazione sociale e della relazione fra le classi sociali, della relazione fra storia e struttura, e fra approccio genetico e approccio morfologico, ecc.
Un tale metodo coinvolge inevitabilmente tutte le scienze umane, benché Bachtin non abbandoni mai il suo interesse particolare, cioè, l’interesse per lo spessore dialogico della parola che soprattutto nella parola letteraria si manifesta in tutta la sua porata.
È appunto secondo questo interesse e questa angolatura prospettica che la parola letteraria gli offre che Bachtin più o meno esplicitamente, più o meno direttamente, e soprattutto facendo sentire la sua voce nel libro del 1928 pubblicato da Pavel N. Medvedev (rappresentante di rilievo in quel sodalizio, senza interruzione di continuità, intellettuale e affettivo, che riduttivamente va sotto il nome di “scuola di Bachtin”) critica i formalisti russi che ritenevano di poter risolvere il problema della “specificità” del testo letterario (giustamente si autodenominavano come “specificatori”) studiandolo nel suo isolamento (anche separatamente dalla sua storia e dalla storia del genere letterario di appartenenza); come pure critica coloro che, con facili formule sociologistiche e slogan pseudo-marxisti, credevano di poter discettare su di esso.
Bachtin affronta le questioni concernenti la scrittura letteraria dal punto di vista della letteratura stessa. Le sue escursioni fuori dal campo letterario non comportano un punto di vista esterno con pretese di realizzare una descrizione sistemica e totalizzante.
Conseguentemente, benché l’interesse principale di Bachtin sia l’arte e specificamente “l’arte verbale”, la letteratura, la sua attenzione non è limitata a quest’unico campo. Bachtin non si spinge soltanto a considerare la connessione tra “letteratura” e “vita”, o più ampiamente, fra “arte” e “vita”, questione centrale nel “circolo bachtiniano”, a cui fin dal primo scritto pubblicato a noi pervenuto, “Arte e responsabilità”, del 1919, Bachtin dà particolare rilievo, ma, come dimostra l’intero arco della sua produzione, rivolge la propria attenzione alle scienze umane, ma pur sempre dalla prospettiva estetica, che egli considera inseparabile (l’ha detto chiaramente nei suoi primi scritti programmatici) da quella etica.
Così, se Bachtin rivolge la propria attenzione particolarmente allo studio dei segni, in particolare i segni verbali è perché essi costituiscono la “materia” della creazione letteraria, dell’“arte verbale” e anche la materia dell’ideologia, da cui la parola letteraria (diversamente da quanto ritenevano i formalisti) è inseparabile.
Le sue riflessioni sulla linguistica, già formulate negli anni Venti e anche in seguito, sono notevoli se consideriamo, ad esempio, un altro libro del sodalizio bachtiniano del 1929, Marxismo e filosofia del linguaggio, in cui si prende posizione contro la linguistica che prescinde dalla parola viva, dalla viva enunciazione; ma anche il libro del 1928, già menzionato, Il metodo formale nella scienza della letteratura; o l’articolo del 1930, “Poetica e linguistica” (Volosinov 1930).
 L’interesse di Bachtin per la dialogicità della parola e quindi della coscienza stessa, che nella parola si esprime, ritorna nei suoi due libri su Dostoevskij (1928 e 1963) in cui egli (in quello del 1963 esplicitamente) propone il termine “metalinguistica” per riferirsi allo studio del linguaggio verbale (spesso egli usa in tal senso anche “filosofia del linguaggio”). Con questo termine Bachtin intende indicare un approccio che superi i limiti della filologia e della linguistica così come veniva praticata all’epoca, per spostare l’attenzione, invece, su aspetti come l’enunciazione, le relazioni dialogiche, l’orientamento valutativo della parola, i significati impliciti, l’entimema: questo approccio ritorna in “La parola nel romanzo” (1934-35), e in altri scritti raccolti nei due volumi pubblicati in russo del 1975 e 1979.
Quanto alla linguistica, Bachtin sottolinea i limiti dell’approccio incentrato sul codice che analizza il segno come mero segnale. L’orientamento di tutta la ricerca di Bachtin dimostra come non sia possibile contenere la complessa vita linguistica entro i due poli della langue, o del sistema normativo del linguaggio, da una parte, e la parole, o il parlare individuale, dall’altra. Il linguaggio è fondamentalmente un fatto sociale adeguatamente comprensibile soltanto alla luce di processi dialogizzati che mettono in rapporto tra di loro le diverse lingue storiche, i linguaggi interni che formano le singole lingue storiche, i testi, i generi discorsuali, i generi letterari, i generi letterari in quanto collegati con altri generi discorsuali, i discorsi individuali, la parola propria e la parola altrui, le voci diverse della propria parola, il discorso interno.
Né va sottovalutato, sotto questo aspetto, l’interesse di Bachtin per la psicoanalisi, o, più precisamente per la teoria freudiana che sfocia nel libro di Volosinov del 1927, Freudismo. Da una parte, questo libro va inquadrato nel contesto dei dibattiti che si svolgevano all’epoca sul rapporto tra marxismo e psicoanalisi, e dall’altra, dell’interesse del “circolo bachtiniano” per la psicologia e i suoi eventuali collegamenti con la scienza dei segni. L’atteggiamento bachtiniano nei confronti della psicologia si avvicina a quello d Lev S. Vygotskij (1896-1934), le cui posizioni Bachtin e i suoi amici del “circolo” in gran parte condividevano (di particolare interesse è lo studio dedicato allo scritto di Vygotskij, del 1925, sul problema della coscienza, in Volosinov 1925); inoltre, anche molte pagine di Marxismo e filosofia del linguaggio sono dedicate alla relazione tra psicologia e la scienza dei segni. In Freudismo l’interesse per Freud e l’inconscio rientra nella sua ricerca sul problema dell’ideologia, che è analizzata distinguendo tra “ideologia ufficiale” e “ideologia non ufficiale”, e interpretando l’inconscio come ideologia di cui il soggetto non ha coscienza.
Tuttavia, anche l’inconscio è fatto di segni verbali. Questo aspetto è di centrale importanza nell’interpretazione bachtiniana del 1927 di Freud, e in qualche maniera anticipa l’interpretazione lacaniana della psicoanalisi. Su questa base, data l’interdipendenza fra linguaggio e ideologia, si ritiene che qualsiasi opposizione tra l’inconscio e la coscienza sia di ordine ideologico. Come abbiamo detto, Freudismo propone una distinzione tra ideologia ufficiale e ideologia non ufficiale che si sarebbe dimostrato di cruciale importanza nell’interpretazione bachtiniana di Rabelais.
Un’altra scienza umana di centrale importanza in Bachtin e di tipo trasversale è ovviamente ciò che possiamo chiamare antropologia culturale, etnologia, studio del folclore, o più genericamente, culturologia. Questa prospettiva particolare sottende la gran parte del lavoro di Bachtin: pensiamo ai suoi studi sull’origine della parola nel romanzo, sulla letteratura carnevalizzata, sui segni del corpo grottesco, sul linguaggio della piazza pubblica, ecc.
A parte il fatto di rappresentare un importante contributo allo studio della letteratura, il libro di Bachtin su Rabelais è significativo anche come studio antropologico-culturale. Di particolare interesse è l’enfasi che Bachtin pone sul carattere autonomo e originale della cultura popolare e, di conseguenza, sulla sua capacità di resistenza, anche in senso passivo e non programmato, alla cultura ufficiale, all’ordine costituito, al potere dominante. In altre parole, Bachtin esamina lo sviluppo della dialettica fra cultura ufficiale e cultura non ufficiale (presente anche nel testo letterario) in termini di conflitto tra i segni in cui l’ideologia si realizza e si trasmette. Anche questa dialettica è dotata del carattere di materialità, di oggettività ed è indipendente dalla volontà o dalle aspettative della ragione protesa a dominarla o a eliminarla. In Rabelais Bachtin propone una nuova interpretazione della storia della cultura occidentale moderna mediante l’analisi dei vari atteggiamenti assunti nei confronti di Rabelais in epoche culturali differenti (Bachtin sviluppa la propria critica all’illuminismo in una direzione simile all’approccio di Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’Illuminismo), e mediante la rilettura della periodizzazione della storia della cultura – per esempio, della relazione tra il medioevo e l’umanesimo-rinascimento (da questo punto di vista sono anche interessanti le considerazioni di Bachtin su Konrad Burdack).
Sul piano dell’ideologia, pur riprendendo Marx ed Engels, Bachtin conferisce un significato diverso a questo termine rispetto al suo impiego nell’Ideologia tedesca. Secondo Bachtin, l’ideologia non significa falsa coscienza o pensiero distorto tout-court. Con questo termine si indica, piuttosto, una tendenza sociale, un progetto sociale collegato con un dato gruppo, con una specifica classe, con tendenze che vanno indifferentemente nella direzione della innovazione, della rivoluzione e della scienza, come pure dell’occultamento, della mistificazione e del conservatorismo. Per dare semplicemente un’idea al lettore di ciò che Bachtin intende per ideologia, senza per questo voler ridurre l’ampiezza della sua analisi, ricordiamo l’unica definizione esplicita nei suoi scritti formulata in una nota al saggio del 1929 (pubblicato sotto il nome di Volosinov), “Che cos’è il linguaggio?”: “Per ideologia intendiamo tutto l’insieme dei riflessi e delle interpretazioni della realtà sociale e naturale che avvengono nel cervello dell’uomo e sono espresse e fissate per mezzo di parole, disegni, schizzi o altre forme segniche”.
Nel campo delle scienze sociali un contributo importante tanto alla sociologia quanto alle scienze culturologiche e, anzi, alla linguistica è il lavoro di Bachtin sulla relazione tra la cosiddetta struttura e la cosiddetta sovrastruttura. Prendendo le distanze dalle divisioni meccanicistiche che dominavano negli URSS, e anticipando le interpretazioni di Antonio Gramsci, Ferruccio Rossi-Landi e Raymond Williams, già Volosinov aveva dimostrato nel 1929 come non fosse possibile interpretare questo rapporto in senso dialettico senza considerare il ruolo di mediazione svolto dai segni. Contrariamente a quelle concezioni che mirano a definire il linguaggio sulla sola base delle categorie di struttura e sovrastruttura, il “circolo bachtiniano” riteneva che si potesse spiegare la metafora marxiana soltanto sulla base dello studio del linguaggio e dei segni in generale.
Questa molteplicità di interessi da parte di Bachtin nei confronti delle scienze umane e soprattutto il suo stesso metodo di ricerca rinviano, in ultima analisi, alla questione del valore. Da quanto abbiamo detto, risulta che a Bachtin interessa direttamente la questione del valore estetico e in particolare il valore letterario, ma, dato che l’affronta identificando il valore artistico nell’alterità e nell’exotopia, egli finisce necessariamente col doversi occupare anche di altri tipi di valore.
Fra questi, in primo luogo, il valore in senso etico. Infatti, Bachtin aveva già sottolineato l’importanza del collegamento tra arte e responsabilità nel suo primo scritto del 1919, che già nel titolo stesso contiene questi due termini. Se, come sostiene Bachtin in un lavoro del 1920-23 (in Bachtin 1979), la fonte del valore artistico è la categoria dell’altro e non dell’io, il valore estetico comporta necessariamente questioni di tipo etico incentrate sul problema dell’altro. Da questo punto di vista, la letteratura rappresenta una sorta di sperimentazione portata all’estremo – oltre i limiti delle convenzioni sociali – delle modalità del funzionamento dei valori nelle relazioni interpersonali.
Ma ciò comporta la sperimentazione anche al livello del carattere dialogico della parola. Nella letteratura, specialmente in certi generi letterari come il romanzo, è possibile esaminare la dialogicità della parola oltre la sua portata limitata nel linguaggio ordinario. In Bachtin, il valore estetico è ricollegato al valore linguistico come anche al valore della persona inteso non soltanto nel senso dell’identità ma anche dell’alterità. Il valore linguistico nei termini descritti da Bachtin è assai più consistente di quanto non lo sia per i linguisti.
Qui l’allusione è ad un certo tipo di linguistica di derivazione saussuriana. Già negli anni Sessanta Ferruccio Rossi-Landi (1921–1985) aveva criticato le correnti semiotiche che prendono a modello la linguistica di Saussure, e quindi la concezione di derivazione saussuriana del segno e del valore linguistico. Ma il riferimento è anche alla linguistica tassonomica come pure alla linguistica generativa e trasformazionale di derivazione chomskiana. L’oggetto analizzato da tali correnti è la frase presa in isolamento rispetto ai concreti contesti comunicativi, la frase considerata separatamente, quindi, rispetto alla concreta enunciazione dialogica.
Per Bachtin il valore linguistico non concerne semplicemente la relazione tra gli elementi della lingua, la relazione tra fonemi, tra signifiant e signifié, tra le parole sull’asse sintagmatico e quelle sull’asse paradigmatico, ma al di là di tutto ciò il valore linguistico riguarda la consistenza dialogica del discorso. In altre parole, il valore linguistico si misura in relazione alla capacità dialogica della parola, trattandosi di un dialogismo non formale, non superficiale, come si realizza nello scambio di battute tra due parlanti in un dialogo, bensì del dialogismo sostanziale, riscontrabile persino nella voce di un singolo parlante, in una singola enunciazione.
Nella concezione di Bachtin il dialogismo è la dimensione costitutiva di qualsiasi tipo di atto di parola o discorso, a prescindere dal fatto che si tratti del discorso esterno rivolto ad altri o del discorso interno, il pensiero “privato”. Ciò è dovuto sia all’alterità interna dell’io, sia al fatto che la parola propria è ripresa dalla bocca altrui ed è sempre impiegata, quindi, con riferimento al discorso di altri, sia che lo accettiamo sia che ne prendiamo le distanze.
Con tali concezioni, Bachtin supera i limiti convenzionali della linguistica nella direzione di ciò che egli chiama “metalinguistica”. Non si tratta di un ampiamento quantitativo dei confini della linguistica ma di un cambiamento qualitativo, di uno spostamento in valore: il valore dell’identità segnica è soppiantato dal valore dell’alterità segnica.
Lavorare in questa direzione significa ricercare il valore linguistico nelle relazioni dialogiche interne al discorso, nelle relazioni dialogiche che collegano i diversi testi, lingue storiche, generi discorsuali, ecc. Spinto a livelli alti di dialogicità, di exotopia, di spostamento nella direzione dell’alterità, il valore linguistico, inteso come valore dialogico, diventa valore estetico.
Per un tale approccio assume rilievo anche la relazione tra valore estetico e valore cognitivo, pure essa riconducibile alla scala dei valori della dialogicità, che va da un grado massimo di dialogismo ad un grado massimo di monologismo. Tuttavia, in quanto fondato sulla categoria dell’io, sulla identificazione con il soggetto del discorso, in quanto orientato secondo una tesi determinata, un progetto unitario, una conclusione, il discorso conoscitivo – nonostante le sue capacità innovative e rivoluzionarie – non è in grado di raggiungere gli alti livelli di apertura e alterità rintracciabili invece nel discorso artistico.
Anche gli stessi processi conoscitivi richiedono la categoria dell’alterità come sottolinea Bachtin in vari momenti della propria ricerca. In Rabelais, per esempio, egli mostra l’importanza, per la nascita della moderna conoscenza scientifica, dell’apertura, durante l’umanesimo e il rinascimento, della cultura ufficiale nei confronti della cultura non ufficiale, della cultura popolare, carnevalizzata, del corpo grottesco. Questo punto di vista si ritrova anche negli scritti più recenti di Bachtin specialmente nei suoi appunti del 1970–71. Da questo punto di vista, la sperimentazione artistica supera quella scientifica, permettendoci di comprendere aspetti dell’uomo (come dice Bachtin in relazione al “romanzo polifonico” di Dostoevskij), della sua esperienza con gli altri e con la natura del tutto inaccessibili in una prospettiva monologica.
Risulta dunque che il problema del valore è un aspetto costante della ricerca bachtiniana, dai primi scritti degli anni Venti a quelli degli anni Settanta. Inoltre, poiché la prospettiva di Bachtin è interdisciplinare con una particolare attenzione per il senso del valore per la persona umana, il suo interesse per la questione del valore non resta affatto limitato esclusivamente al campo specifico di una determinata scienza umana (come, per esempio, la linguistica o la teoria dell’arte e della letteratura). In contrasto con la linguistica di derivazione saussuriana, col formalismo russo e con la semiotica culturale di Lotman, per Bachtin la questione del valore non è riconducibile al rapporto con un sistema chiuso, sia esso il codice linguistico, la langue, o la cosiddetta “lingua poetica”, o il complessivo sistema culturale (benché anche per Bachtin la questione principale sia la specificità e il valore quale si presenta nei segni verbali, nella letteratura e nei testi culturali). La prospettiva di Bachtin è dialogica: translinguismo, transtestualità, transculturalismo.
Di conseguenza, piuttosto che limitare la propria ricerca sui valori restando nell’ambito dei confini di una singola scienza umana, egli ne ricerca, alla base della stessa divisione delle scienze, il senso unitario per l’uomo.
Ritornando alla problematica posta all’inizio, è possibile ora identificare il metodo impiegato in maniera costante da Bachtin in tutta la sua ricerca: esso consiste nel mettere in rapporto campi e oggetti di studio anche distanti attraverso un processo di spostamento e di apertura, piuttosto che di incorporamento e di chiusura. Tale metodo è dialettico in senso pregnante, in quanto recupera la connessione – di vitale importanza per la dialettica – con il dialogismo; è in effetti un metodo dialogico-dialettico ciò che all’inizio abbiamo indicato con “metodo detotalizzante”.
Bachtin colloca il prefisso “meta” davanti alla parola “linguistica” (in Dostoevskij 1963) per descrivere il suo particolare approccio al linguaggio (verbale); ma in realtà sarebbe appropriato estendere tale prefisso davanti a tutti i campi disciplinari coinvolti nella sua ricerca, che infatti Bachtin indicava come ricerca specificamente filosofica, come ricerca critica incentrata fondamentalmente sulle condizioni di possibilità. Ciò significa, nei confronti della problematica dei valori, e dei segni in cui essi sono necessariamente espressi (da qui l’interesse di Bachtin per la scienza generale dei segni o semiotica), assumere un atteggiamento teorico, ma anche orientativo della prassi, per il quale, alla assolutezza e reificazione dei segni e dei valori, si contrappone l’indagine sui processi dialettico-dialogici della loro produzione e circolazione.
È interessante collegare, per una serie di analogie, malgrado gli interessi teorici diversi e le differenze di linguaggio, la teoria bachtiniana del segno alla teoria del significato della studiosa inglese Victoria Lady Welby (1837-1912), la “significs”, mettendole a confronto in una sorta di dialogo immaginario.
Welby e Bachtin non si incontrarono mai nella vita, né sarebbe mai stato possible per la loro appartenenza a cronotopi differenti. Tuttavia, malgrado questa distanza spazio-temporale, non colmata (a quanto pare) da qualche forma di conoscenza, da parte di Bachtin, sia pure indiretta, è possibile stabilire un rapporto tra Bachtin e Welby sul piano teorico. Una lettura dei testi di ciascuno di questi due autori messi a confronto contribuisce sia ad una migliore comprensione dei loro rispettivi sistemi di pensiero, sia ad un trattamento più comprensivo dei problemi attualmente dibattuti nell’ambito della teoria del linguaggio e della comunicazione.
Sia Bachtin sia Welby evidenziano la plurivocità, la multiaccentuatività del segno, la capacità interpretativa al di là dei limiti della decodificazione, l’ambiguità del significare, la comprensione rispondente e l’alterità dialogica, ecc., con ciò situandosi entrambi in quel particolare orientamento nello studio dei segni che si va affermando all’incirca dalla seconda metà degli anni Settanta e oggi indicata come “semiotica della interpretazione”, grazie anche ad un sostanziale contributo di Charles S. Peirce (1839–1911) con cui Welby fu in un intenso rapporto epistolare (alcuni fra i più interessanti scritti di Peirce sono lettere a Welby).
Tra gli scritti di Welby sono da segnalare i due libri What is Meaning?, del 1903, e Significs and Language, del 1911, una serie di saggi, una quantità imponente di inediti, e una ricca corrispondenza, per lo più inedita, con vari personaggi di spicco dell’epoca, filosofi e letterati tra i quali i fratelli William James (1842-1910) e Henry James (1843-1916), Bertrand Russell (1872-1970), Henri Bergson (1859-1941), Herbert G. Wells (1866-1946), Eucken Rudolf (1846-1926), Harald Höffding (1843-1931), ecc.
Una raccolta parziale degli scritti editi e inediti è ora disponibile nel volume, pubblicato da Mouton De Gruyter, Signifying and Understanding. Reading Victoria Welby and the Signific Movement, del 2009 (v. Petrilli 2009). Per Welby era importante lavorare in un contesto dialogico e perciò la vediamo costantemente impegnata nello sforzo di confrontare i risultati della propria ricerca attraverso una fitta rete di rapporti, in gran parte epistolari, anche in ambito internazionale. Soprattutto con la notevole quantità delle sue relazioni epistolari, Welby ha svolto un ruolo importante non solo sul piano della diffusione delle idee di alcune figure significative con cui fu in rapporto, tra le quali Bertrand Russell, Charles K. Ogden (1889-1957) e Ivor A. Richards (1893-1979) in Inghilterra, e il già menzionato Peirce negli USA, e Giovanni Vailati (1863-1909) in Italia, ma anche influendo, in certi casi in maniera tutt’altro che marginale, sulle loro idee.
Analogamente a Bachtin Welby evidenzia l’originalità del suo particolare approccio allo studio del significare e del comprendere indicandolo con un nuovo termine, “significs”. Con ciò ella distingueva la propria ricerca e il proprio campo di interessi da quelli comunemente designati con i termini “semantica” e “semiotica” (a tale proposito è interessante la sua discussione con Vailati e con Peirce).  Analogamente alla “metalinguistica” di Bachtin, la significs assume un orientamento profondamente filosofico per lo spessore critico della riflessione sui segni e le loro condizioni di possibilità. L’asse intorno a cui si sviluppa, di nuovo analogamente alla metalinguistica di Bachtin, è la relazione tra segno e valore e la centralità della questione della significatività, cioé della significanza, del senso, della responsabilità. Prendendo posizione contro la mistificazione e la reificazione dei segni, l’alienazione linguistica e sociale – nella vita quotidiana come nella vita professionale, intellettuale, politica, ecc. –, Welby elabora una critica del linguaggio sottolineando la condizione di irrevocabile interconnessione nel mondo umano tra i processi del significare, la prassi, e i valori, con la messa a fuoco del collegamento indissolubile tra linguaggio e comportamento, linguaggio e conoscenza, linguaggio e valori.
In un libro del 1881, Links and Clues, Welby già tematizza una serie di concetti al cui sviluppo avrebbe dedicato gran parte degli scritti successivi: il concetto di coscienza linguistica, la critica del senso comune, del senso semplice e ovvio, l’essenziale ambivalenza e plurivocità dei segni in generale e dei segni verbali in particolare, la critica al monologismo rassicurante, l’elogio dell’ambiguità semantica dei segni, del polilogismo, la “plasticità” del linguaggio, il problema dell’interpretazione.
Nella prospettiva della significs la domanda “Che cosa significa?” indica la volontà di interrogare il senso e con ciò essa evidenzia la dimensione etica della vita linguistica e del significare in generale al centro dell’attenzione sia di Welby sia di Bachtin. Con la distinzione tra termini come “senso”, “significato”, “significazione”, “significatività”  ritroviamo anche in Welby la distinzione tra “senso attuale” (o anche “tema”) e “significato” di Bachtin (v. Ponzio nel volume Semiotics Unbounded di Ponzio e Petrilli 2005: 138–166).
Quanto a quest’ultimo aspetto, proponiamo delle corrispondenze tra ciò che Welby chiama “senso”, “significato” e “significatività” e ciò che Bachtin chiama “senso attuale” (o “tema”) e “significato”. Il “significato” di Bachtin in quanto distinto dal “senso” indica tutti quegli aspetti dell’enunciazione scomponibili in elementi linguistici più piccoli, che sono riproducibili e identici a se stessi ogni volta che l’enunciazione si ripete. Così inteso il “significato” corrisponde alla “segnalità”, all’ “interpretante d’identificazione”, al “significato semplice”. Al contrario, il “senso” è essenzialmente indivisibile, rinvia a ciò che è unico, a ciò che è singolare e non riproducibile, concerne la portata e la significatività complessiva dell’enunciato in un dato momento storico, in un contesto specifico. Il “senso” o “tema” riguarda tutti quegli aspetti della significazione che richiedono la “comprensione rispondente”, una risposta dialogica, la voce dell’altro, che sono dotati di un punto di vista e di un orientamento valutativo: “Il tema è un sistema dinamico e complesso di segni che cerca di essere adeguato ad un momento dato del processo generativo. Esso è una reazione da parte della coscienza nel suo processo generativo e al processo generativo dell’esistenza. Il significato è l’apparato tecnico per l’effettuazione del tema” (Bachtin-Volosinov 1929, trad. it.: 181).
Il confine tra “senso” e “significato” non è netto e definitivo, questi due termini sono collegati tra loro, non sussistono indipendentemente l’uno dall’altro: il “significato” dell’enunciazione è trasmesso trasformandolo in un elemento del “senso”, e viceversa, il “senso” è fondato necessariamente sulla fissità del significato, se vogliamo realizzare l’interazione comunicativa. In Welby il “senso” concerne il modo in cui la parola è comparsa secondo le regole dell’uso convenzionale, ma anche in rapporto alle circostanze dell’interazione comunicativa e all’universo di discorso, e mai isolatamente da essi: contiene quindi la dialettica descritta da Bachtin tra “significato” e “senso”. Il “significato” in Welby rinvia alla precisa intenzione comunicativa dell’utente; la “significatività”, invece, designa la portata, l’importanza, l’implicazione, il valore complessivo e ideale dell’enunciazione: “Non esiste il senso della parola in senso stretto, ma solo il senso in cui si utilizza – le circostanze, lo stato d’animo, il riferimento, ‘l’universo di discorso’ che gli appartengono. Il significato della parola è l’intento che si vuole trasmettere – l’intenzione dell’utente. La significatività è sempre multiforme, e intensifica il senso come pure il significato, mediante l’espressione dell’importanza, del richiamo, del rilievo che la parola ha per noi, della forza emotiva, del valore ideale, dell’aspetto morale, della portata universale o per lo meno sociale” (Welby 1983[1903]: 5).
Possiamo stabilire un rapporto tra il “significato” di Bachtin e il “senso” di Welby; tra il “senso” di Bachtin e il “significato” e la “significatività” di Welby. Naturalmente, tali corrispondenze sono soltanto approssimative dato che, tra l’altro, i concetti in questione rappresentano tentativi differenti di scomporre una totalità unitaria che in realtà è indivisibile. Le distinzioni teoriche sono sempre fatte per via di astrazione e servono soltanto per mettere a fuoco aspetti specifici della vita dei segni. Ricordiamo, tuttavia, che non soltanto i segni esistono come entità nella loro totalità, ma che agiscono in rapporto l’uno all’altro, trovando l’uno nell’altro la loro specificità e significatività nel processo della interazione dialettica e dialogica che caratterizza la semiosi.
L’opera di Bachtin e di Welby evidenzia come i problemi del significato e dell’interpretazione abbiano a che fare con la dialogicità, con l’alterità intesa anche nel senso di ciò che fuoriesce dal previsto, dal già dato e che mette in discussione e spiazza i comportamenti consuetudinari e di ruolo (Ponzio 2007). Entrambi evidenziano il ruolo strutturale della logica dell’alterità nel significare e nell’interpretare, l’alterità rispetto ai codici, ai sistemi segnici, agli stessi generi letterari, insomma rispetto a quanto rientra in un universo di discorso già definito e regolamentato. Oltre alla conoscenza dei codici che richiedono la mera decifrazione, è necessaria la conoscenza dei programmi sociali di comportamento che permettono di intravvedere il senso secondo cui il segno è orientato. Ma neppure questo basta perché il significante ha sempre più o meno a che fare con ciò che è altro rispetto a ciò che è previsto sia dai codici sia dai programmi sociali di comportamento. Il termine “significatività”, in contrapposizione al “significato”, indica questo slittamento di senso.
        Nella filosofia anglosassone – e per influenza degli entusiasti della significs anche in Olanda – si diffuse un rinnovato interesse per i problemi del significare, dell’intendere e dell’interpretare per merito della rivoluzione realizzata da Welby nell’ambito degli studi filosofico-linguistici, rivoluzione paragonabile a quella bachtiniana nella filosofia e nella letteratura. Si dice che attraverso Bertrand Russell, con cui ebbe interessanti scambi epistolari, Welby abbia influenza Ludwig Wittgenstein. Per uno strano caso pare che Wittgenstein sia stato anche influenzato da Nikolaj Bachtin, fratello di Michail, pure lui filosofo e studioso del linguaggio in maniera non differente dal fratello, una volta trasferitosi in Inghilterra dove presso l’Università di Birmingham fondò l’Istituto di studi linguistici.



Riferimenti bibliografici

Bachtin, Michail M.
1920–24 Per una filosofia dell’atto responsabile, a cura di Augusto Ponzio, trad. dal russo di Luciano Ponzio, Lecce, PensaMultimedia, 2009. Traduzione portoghese dall’edizione italiana, Para una filosofia do ato responsáve, traducão aos cuidados de Valdemir Miotello & Carlos Alberto Faraco, São Carlos, SP, Pedro & João Editores, 2010.
1929   Problemi dell'opera di Dostoevskij (1929), a cura con presentazione di Augusto Ponzio e Margherita De Michiel Bari, Edizioni dal Sud, Bari. 1997
2008           In dialogo. Conversazioni del 1973 con Victor Duvakin, cura e introd. Di A. Ponzio, trad. di R. S. Cassotti, Milano, Edizioni Scientifiche Italiane; trad. portoghese, Em Dialogo. Conversas de 1973 com Viktor Duvakin, Sâo Carlos (Brasile), Pedro y João Editores, 2008.

M. Bachtin, I.I. Kanaev, P. Medvedev, V.N. Volosinov,
1995   Bachtin e le sue maschere. Il percorso bachtiniano fino alla pubblicazione dell’opera su Dostoevskij, introd. e cura  di Augusto Ponzio in coll. con Margherita De Michiel e Paolo Jachia, Bari, Dedalo.

Bachtin, Michail M. – Medvedev, Pavel N.
1928   = Pavel Medvedev, Il metodo formale nella scienza della letteratura. Introduzione critica alla poetica sociologica, Leningrado 1928, trad. it. Dedalo, Bari 1976.

Bachtin, Michail M. – Volosinov, Valentin N.
1927   =  V. N. Volosinov, Freudismo, Gosizdat, Mosca e Leningrado 1927, trad. it. Bari, Dedalo 1977 [nuova ed.: M. M. Bachtin, Freud eil freudismo, Mimesis, Milano 2005]. 
1929   = Valentin N. Volosinov, Marxismo e filosofia del linguaggio, Leningrado 1929, 19302, trad. it. dall’ed. ingl. del 1973, Bari, Dedalo, 1976 [nuova ed. tradotta dal russo: Marxismo e filosofia del linguaggio, Lecce, Manni, 1999.]

Bonfantini, Massimo A.; Ponzio, Augusto
2010   Dialogo sui dialoghi. Dove si parla di filosofia, scienza, utopia, semiotica, musica, poesia, ecotopia e così via discorrendo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. [Prima ed. 1986].

Bonfantini, Massimo A.; Petrilli, Susan; Ponzio, Augusto
2006   Dialoghi semiotici. Sul dialogo, sulla menzogna e la verità, sui nuovi mass-media, sulla retorica e l’argomentazione, sulla testualità e la discorsività, sull’ideologia e l’utopia 1982-2006, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane.

de Paula, Luciane; Stafuzza Grenissa (Organizadoras)
2010   Círculo de Bakhtin: teoria inclassificável, da Série Bakhtin – Inclassificável, Círculo de Bakhtin: Teoria Inclassificável, vol. 1, Campinas SP Brasil: Mercado de Letras.

Goulart Ribeiro, Ana Paula; Sacramento, Igor (organizadores)
2010   Mikhail Bakhtin. Linguagen, cultura e mídia, São Carlos, Pedro & João Editores.

Petrilli, Susan
1996   Che cosa significa significare?  Itinerari nello studio dei segni, Bari, Edizioni dal Sud.
1998   Su Victoria Welby. Significs e filosofia del linguaggio, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane.
2000   si veda Ponzio e Petrilli 2000.
2003a  (a cura di) Translation Translation, intro., “Translation and Semiosis,” pp. 17-37, Amsterdam, Rodopi.
2003b (a cura di) Linguaggi, Bari, Laterza.
2005a  Percorsi della semiotica, Bari, Graphis.
2005b  si veda Ponzio e Petrilli 2005.
2006a  si veda Bonfantini, Petrilli, Ponzio 2006.
2006b  si veda Ponzio, Petrilli 2006.
2008 si veda Ponzio e Petrilli 2008.
2009a  Signifying and Understanding. Reading the Works of Victoria Welby and the Significs Movement, Berlin, De Gruyter Mouton. [Book series, Semiotics, Communication and Cognition 2, Editor Paul Cobley.
2009b “Genere e fuori genere: il discorso e il femminile in Pier Paolo Pasolini”, Athanor XX/13: 147-158, a cura di A. Ponzio.
2010a“Uma leitura inclassificável de uma escritura inclassificável: a aproximação bakhtiniana da literature,” pp. 31-52; “Una lettura inclassificabile di una scrittura inclassificabile: l'approccio bachtiniano alla letteratura,” pp. 353-370. [Edizione bilingue italiano-portoghese]. In Círculo de Bakhtin: teoria inclassificável, da Série Bakhtin – Inclassificável, Círculo de Bakhtin: Teoria Inclassificável, vol. 1, Luciane de Pauola e Grenissa Stafuzza (Organizadoras). Campinas SP Brasil: Mercado de Letras, 2010.
2010b Sign Crossroads in Global Perspective. Semioethics and Responsibility, John Deely editor, New Brunswick (U.S.A.) and London (U.K.), Transaction Publishers. [This volume presents in monograph form, indexed, the first Sebeok Fellow Special Issue of The American Journal of Semiotics 24.4 (2008), published on the occasion of Dr. Petrilli’s installation as the 7 SSA Sebeok Fellow at the 2008 33 Annual Meeting of the Semiotic Society of America].

Ponzio, Augusto
1977   (a cura di), Teoria della letteratura semiotica e marxismo, Saggi di M. Bachtin, J. Kristeva, I. Ivanov e altri, Bari, Dedalo.
1978           La materia linguistico-ideologica deil’inconscio,  in Morpurgo 1978, pp. 70-83.
1980           Michail Bachtin. Alle origini della semiotica sovietica, Bari, Dedalo.
1985           Per parlare di segni/Talking  About Signs, Bari, Adriatica.
1986           Interpretazione e scrittura, Bertani, Verona.
1990a  Man as a Sign. Studies on the Philosophy of Language, Den Haag, Mouton.
1990b  “Senso e significato in Bachtin”, Idee 13/15: 27-36.
l990c           “Alterità e origine dell’opera”, Athanor 1, 1990: 7-38.
Tra semiotica e letteratura. Introduzione a Michail Bachtin, Milano, Bompiani. Nuova ed. riveduta e ampliata con un nuovo saggio introduttivo di Augusto Ponzio, Milano, Bompiani, 2003.
1994   Scrittura, dialogo e alterità. Tra Bachtin e Lévinas, Firenze, La Nuova Italia, Firenze.
1995   El juego del comunicar. Entre literatura y filosofía, a cura di Mercedes Arriaga Flórez, Valencia, Episteme.
1997a  La rivoluzione bachtiniana. Il pensiero di Bachtin e l’ideologia contemporanea, Bari, Levante Editori; traduzione spagnola La revolución bajtiniana. El pensamiento de Bajtín y la ideología contemporanea, edición y traducción de Mercedes Arriaga, Madrid, Frónesis, Cátedra Universitat de València, 1998; traduzione portoghese, A revolução bakhtiniana. O pensamento de Bakhtin e a ideologia contemporânea, Coordenador de tradução Valdemir Miotello, São Paula, editora contexto. [edizione aggiornata e accresciuto riseptto all’edizione del 1998].
1997b  “Dialogo e polifonia in Dostoevskij. Come è stato frainteso il pensiero di Bachtin. Introduzione a Michail M. Bachtin”, in Problemi dell’opera di Dostoevskij (1929), a cura di Margherita de Michiel e Augusto Ponzio, pp. 5–30, Bari, Edizioni dal Sud.
1997c  “Para una filosofía de la acciòn responsabile”, in Mijail M. Bajtin, in Hacia una filosofia del acto ético. De los borradores y otros escritos, Commentarios de Iris M.  Zavala y Augusto Ponzio, Barcellona, Athropos, 1997, pp. 225-246.
2003   “L’opera di Bachtin e la questione dell’alterità. Introduzione alla seconda edizione,” si veda Ponzio 1992, pp. V–LXXV.
2004   Linguistica generale, scrittura letteraria e traduzione, Perugia, Guerra; nuova edizione rivista e ampliata 2007.
2007   Fuori luogo, Roma, Meltemi.
2008a  Tra Bachtin e Lévinas. Scrittura, dialogo, alterità, Bari, Palomar.
2008b “La filosofia dell’altra parola e la scrittura letteraria in Bachtin e nel suo Circolo“, Introduzione a Michail Bachtin, In dialogo. Conversazioni del 1973 con Victor Duvakin a cura di A. Ponzio trad. di di R. S. Cassotti, Milano, Esi, 2008.
2008c  “Communication, Dialogue and Otherness in Bakhtin’s Metalinguistics,” Russian Journal of Communication 1/3: 266-279, a cura di Igor E. Klyukanov.
2009   L’écoute de l’autre, Paris, L’Harmattan.
2010   Rencontres de paroles: L’autre dans le discours, Paris, Alain Baudry et Cie.

Ponzio, Augusto; Calefato, Patrizia; Petrilli, Susan
2007   Fundamentos de Filosofia da Linguagem, introd. Di A. Ponzio, trad. di Ephraim F. Alves, Petrópolis, RJ (Brazil): Editora Vozes [= traduzione portughese di Fondamenti di filosofia del linguaggio, Bari, Laterza, 1994, 2a ed. 1999.]

Ponzio, Augusto; Petrilli, Susan
2000   Philosophy of Language, Art and Answerability in Mikhail Bakhtin, New York/Ottawa, Toronto, Legas.
Semiotics Unbounded. Routes in the Open Network of Signs, Toronto, Toronto University Press.
2006   La raffigurazione letteraria, Milan, Mimesis.
2008   Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio, Bari, Graphis.

Rossi-Landi, Ferruccio
2007   Semiotica e ideologia, a cura di A. Ponzio, Milano, Bompiani.

Welby, Victoria
2007   Senso, significato, significatività,  It. trans. intro. “Il senso e il valore del significare,” pp. vii-lx,  and ed. by Susan Petrilli, Bari, Graphis.
2010   Come interpretare, comprendere, comunicare, It. trans. intro. and edited by Susan Petrilli, Rome, Carrocci,

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